Giovedi 26 marzo 2020 ore 9.41

Pubblichiamo le riflessioni di Ivano Brancaleoni, arrivate in redazione in tarda mattinata, che meritano di essere lette e sulle quale sarebbe interessante, eventualmente, conoscere anche altri punti di vista. Una lettura che reputiamo stimolante, per i punti toccati, per il modo di esporli. Cercare una buona fotografia è una esigenza importante, lo è ancora di più in un momento dove anche la più semplice delle azioni, uscire a fare una passeggiata, è complicata. Un titolo e una fotografia di copertina che sottolineano la gravità della situazione, il silenzio di una città, una stazione vuota, il tempo che nel suo scorrere non lascia vedere nulla di diverso. Dunque, l’occasione per ripensare le abituditi che alimentavano il flusso delle condivisioni fino a qualche settimana fa, per finire nell’essenza del reportage fotografico, dove stavolta il fotografo non è il “professionista”, ma una persona che nello svolgere il proprio lavoro, lo documenta con una fotocamera. Ciò sottolinea l’importanza del documento storico, dell’informare.
Chiunque voglia arricchire le considerazioni espresse di seguito, ci contatti.

Parliamo di fotografia. Cosa vuol dire essere un bravo fotografo?

«Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e i filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea. Bisogna capire cosa c’è dietro i fatti per poterli rappresentare. La fotografia – clic! – quella la sanno fare tutti».(Tiziano Terzani)

Saper usare una reflex o raccontare una storia? Io non credo di essere un bravo fotografo perché anche se so usare una reflex non ho mai raccontato una storia potente con la mia fotografia. Mi limito a qualche paesaggio, a qualche nataura morta, banalità quotidiane, niente di eccezionale.
Ai tempi dei social la fotografia si è ridotta un triste e veloce passatempo per cui basta scattare con uno smartphone, per lo piu’ selfie per autocelebrarsi, senza sapere nulla di composizione, tempi, diaframmi ecc, aggiungere un filtro gia’ pronto, pubblicare e aspettare i like… questa è la foto oggi.

Io mi rifiuto. Sono stanco di tutto questo. Mi fa venire il vomito pensare che l’arte si sia ridotta a questa pochezza.

Ho sempre pensato che un bravo fotografo debba raccontare storie potenti, per fare questo però è necessario essere la’ dove si svolgono i fatti, dove tutto accade, nelle zone calde. Esattamente come faceva Terzani e molti altri giornalisti come lui, che per uno scatto o una notizia rischiavano la vita ogni giorno, molti l’hanno anche persa.

Questo per me è impossibile ovviamente, perché non mi pagano per raccontare storie in giro per il mondo ma per rispondere al telefono 8 ore al giorno rinchiuso in un ufficio.

Ora però tutto è cambiato, non avrei mai immaginato di assistere ad un avvenimento storico nella mia vita e invece eccolo!

Una pandemia batteriologica ha fermato il mondo e l’Italia. Mi mordo le mani ogni giorno perché sento che questa è la mia occasione, potrei uscire e scattare le città deserte, quale migliore momento per un fotografo se non questo! Scattare i grandi monumenti vuoti, i pochi in giro con le mascherine, i cartelli, le persone fuori dai balconi come passeggeri di una crociera che però rimane ferma al porto.. potrei scattare negli ospedali, nelle aziende, per le strade, ovunque! Invece niente, siamo in quarantena, c’è il divieto di uscire di casa.

Sto guardando questo avvenimento come fanno tutti, dalla tv, dai giornali e dai social, senza la possibilità di poter documentare di persona questo avvenimento storico.

Ieri il post di un infermiere con la passione per la fotografia ha fatto il giro del mondo, gli è stato dedicato perfino un servizio sul tg ed è stato intervistato. Il ragazzo, un infermiere di Cremona, non ha fatto altro che portarsi la macchina fotografica a lavoro e scattare, raccontare quello che succedeva in ospedale, c’è un suo selfie col camice davanti allo specchio poco prima di iniziare il turno, si vedono infermiere con guanti, occhiali e mascherine che si abbracciano, si prendono un attimo di riposo o mentre stanno soccorrendo un contagiato.

Cos’ha fatto di così speciale questo fotografo?
Nulla, ha avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto al momento giusto, ha solo scattato quello che vedeva, durante un turno di lavoro.

Quelle foto, fatte durante un normale turno di lavoro, fino a un mese fa non avrebbero suscitato alcun interesse, ma oggi, oggi il lavoro che svolge quel ragazzo è il piu’ importante di tutti, salvano vite umane rischiando la propria , è l’epicentro della battaglia, è dove avvengono i fatti, oggi negli ospedali si sta facendo la storia di questo paese flagellato dal covid-19, oggi fare l’infermiere significa essere al fronte!

Come in una guerra oggi tutto il paese combatte contro il nemico, ma è un nemico invisibile. Colpisce in maniera subdola. Ti costringe a letto e ti soffoca piano piano. Gli infermieri sono i nuovi soldati, mascherine, guanti, tamponi e respiratori le loro armi.

Oggi piove, il cielo è grigio piombo, la temperatura si è abbassata. Sembra una giornata di invernale, non certo il 26 marzo.
Non ho l’opportunità di poter scattare foto di questo particolare momento storico, ma almeno ne posso scrivere, è gia’ qualcosa.

 

Ivano Brancaleoni